Basilicata soft - page 44

Testo a cura di Federico Valicenti Prefetto AIGS Basilicata.
“Il ravanello vale il suo peso in piombo, le barbabietole il suo peso in argento, il ra-
fano il suo peso in oro.” A tanto ammontava il valore dato al
rafano
dagli Dei.
Questa è la leggenda, questo era il valore del rafano scritto dall’oracolo di Delfi ad Apollo.
L’oracolo di Delfi, chiamato “ombelico del mondo” era il più importante oracolo dell’antica
Grecia attribuito a Apollo, dio che si propone come il principale tramite tra l’onnisciente
Zeus e gli uomini. La storia di questa pianta è intricata e misteriosa, ma con una sola cer-
tezza, il rafano è stato premiato per le sue qualità medicinali e gastronomiche per secoli.
Partito dal Mediterraneo si è subito diffuso in tutta Europa andando ad irrobustire le pie-
tanze nordiche. Durante il Rinascimento, la diffusione del consumo di rafano dall’Europa
centrale si estende verso il nord in Scandinavia e verso ovest in Inghilterra. E’ stato l’ac-
compagnamento standard per le carni bovine e ostriche fra gli inglesi , con la radice pun-
gente preparavano sciroppi che servivano nelle locande e nelle stazioni degli autobus per
rilanciare i viaggiatori esausti. Ritorna al Sud diventando un emigrante all’incontrario, cosi
mi piace definire questa radice portata, probabilmente, in Basilicata dai bonificatori veneti
nei secoli scorsi. Ha contaminato una parte della cucina lucana rendendola ancora più pic-
cante, quasi a sostituire il peperoncino estivo, pietanze robuste soprattutto d’inverno. La
radice del rafano è usata esclusivamente cruda e si sente quell’odore pungente e piccante
che porta in casa l’aria della terra fredda degli inverni lucani. Si grattugia al momento, sul-
la pasta, unendo il rafano alle uova per la preparazione delle frittate oppure mescolandolo
al pane e patate per preparare ottime polpette. Se invece si desidera conservarlo nel lungo
periodo e, quindi, da servire in occasioni particolari bisogna: dopo aver raccolto, spazzo-
lato dalla terra e lavato si poggia la radice del rafano in un posto umido e caldo per una
settimana quindi grattugiata, anticamente con la “ grattacaso” grattugia da formaggio, oggi
lo si può fare anche con la grattugia elettrica ma perde molto del profumo inebriante e pun-
gente che la radice possiede. Una volta grattugiata si versa in un contenitore ricoprendolo
di ottimo aceto di vino, chiuso ermeticamente e posto in frigo per una quindicina di giorni.
Dopo i quindici giorni si scola dall’aceto e si versa il composto in piccoli vasi ricoperti di
olio extravergine d’oliva. Cosi mentre noi definivamo il rafano “tartufo dei poveri”, tanto
per cambiare, altri si ingegnavano a farlo diventare completamento di salse e condimenti
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